Tra quattro mesi e mezzo avrà luogo l’inaugurazione di EXPO 2015. L’evento di natura internazionale è sbarcato a Milano dopo un lavoro bipartisan effettuato da governi e amministrazioni di tutti i colori politici. Lavoro che è stato fin da subito contrastato dai comitati milanesi che analizzando le precedenti puntate della grande esposizione hanno iniziato a contestare la scelta di accogliere l’evento a Milano.
EXPO è un “grande evento” che si ripromette di essere volano per l’economia dell’intero Paese e un luogo di elaborazione e scambio, parlando di alimentazione e di conseguenza di agricoltura e agroindustria; ma, come al solito, c’è qualcosa che non va.
Partiamo dal fatto che EXPO 2015 non è un evento pubblico ma un insieme di interessi privati affibbiati alla città di Milano ed amministrati da una Società per Azioni. Questa SpA con attori quasi interamente pubblici (Regione Lombardia, Comune di Milano) ad eccezione della Fondazione Fiera di Milano (titolare del 27,66% delle quote), sarà essenzialmente il magazzino di debito dell’evento sul quale gravano i grandi oneri di costruzioni di parte dell’impianto fieristico e la riqualificazione delle aree a fiera conclusa.
E’ chiaro quindi che a gestire questo evento non sarà il pubblico, ma i vari investitori privati che useranno la fiera come occasione di speculazione senza costruire affatto un luogo di discussione dei problemi dell’agroindustria, ma anzi incensando l’attuale sistema di sviluppo e governance della filiera agricola e delle risorse alimentari.
Ma il debito pubblico non è l’unico problema legato alla fiera mondiale: la cementificazione dell’hinterland milanese non è certo una novità, come non lo è l’infiltrazione delle mafie negli appalti pubblici della Regione Lombardia, ma quello che abbiamo visto durante la costruzione del polo fieristico di Rho è qualcosa di imbarazzante: 8 provvedimenti cautelari e 70 indagati non sono un caso, ma una affermazione di forza delle mafie nel territorio lombardo e tutto questo sarebbe stato impossibile senza un braccio istituzionale forte legato alle giunte dei due Roberto, Maroni e Formigoni, ed a una indifferenza della politica parlamentare. Se per la vicenda “Mafia Capitale” il Partito Democratico ha condannato e richiesto pene severe e dimissioni per coloro che erano coinvolti, sulla “tangentopoli” di EXPO abbiamo assistito ad una assordante silenzio da parte di Governo e Istuzioni.
Passiamo ora a ciò che avverrà nei sei mesi di EXPO: 14500 tra precari, volontari e tirocinanti dovrebbero fare da motore, lavorando gratuitamente o – una sparuta minoranza – solo parzialmente retribuiti, per il polo fieristico e la città , appositamente trasformata in una vetrina da mostrare al mondo. Tutto questo in cambio di “formazione”, la quale in realtà nel contesto di EXPO non è altro che sfruttamento, forse un pezzo di carta per tirocinanti e stagisti e una riga sui curricula per gli altri. Emblematico il video promozionale di questi “posti di lavoro” volontari, dove si afferma che chi lavorerà per EXPO “avrà tanti ‘mi piace’”. L’esposizione è dunque una prova generale per una nuova forma d’inserimento nel mercato del lavoro precario e sotto (o per nulla) pagato.
EXPO non è dunque solo un grande evento che avvelena l’ambiente e mangia soldi pubblici, ma anche l’inizio di un’ennesima ondata di precarizzazione del mondo del lavoro.
Tutto ciò sta avvenendo in un clima surreale di stigmatizzazione del dibattito critico attorno ad EXPO: proprio oggi l’Università Statale di Milano, luogo dove era stata programmata l’Assemblea Nazionale No EXPO, è stata chiusa da Prefetto e Rettore in spregio a qualsiasi minimo rispetto della libera espressione (e del diritto allo studio).
Crediamo che EXPO sia l’occasione di attraversare i temi interloquendo con tutti i soggetti che si stanno ponendo in contrapposizione al grande evento e che non condividono il sistema di sviluppo proposto da esso: alimentazione e lavoro non possono rimanere argomenti trattati in maniera superficiale, ma devono diventare centrali, e quindi approfonditi, per riuscire a cambiare il Paese e dare un alternativa di sviluppo sostenibile a tutta la popolazione.
Per fare questo riteniamo, come organizzazioni sociali di rappresentanza dei soggetti in formazione, che sia necessario non solo rafforzare i legami tra coloro i quali si sono già mobilitati nel corso di questo autunno, ma di provare ad andare oltre confini troppo ristretti ed estendere il più possibile la portata dell’azione politica contro EXPO.
Costruire consenso attorno ai motivi della contrarietà ad EXPO, rendere quelle ragioni maggioritarie, significa accettare di lavorare dal basso e dai singoli temi, in un lavoro reticolare e modulare che sia in grado di ricomporre l’arcipelago di motivazioni per le quali EXPO non è un’occasione per Milano e per l’Italia, ma rappresenta viceversa il paradigma di molte tendenze che sono già in atto nella nostra società: speculazione urbana, precarizzazione del lavoro e svalutazione della formazione, infiltrazioni mafiose, disastri ambientali e tanto altro.
Tutte queste prospettive analitiche e di lavoro devono avere cittadinanza in un impegno che guarda all’inaugurazione che si svolgerà tra poco più di 100 giorni, ma anche a tutti i sei mesi di durata dell’Esposizione univerale.
Con questo spirito siamo presenti all’Assemblea No EXPO che si sta svolgendo a Milano.