Vai al contenuto

I 75 Giorni Di Como San Giovanni #refugeeswelcome

Oggi passare dal parco della stazione San Giovanni fa quasi specie. Dopo oltre due mesi, in cui c’eravamo quasi abituati a vivere quel luogo in modo diverso, oggi la sensazione è quella di attraversare una città fantasma.

Il 19 Settembre la prefettura ha dichiarato l’apertura del Centro di Accoglienza Temporaneo da essa istituito in accordo con la Croce Rossa. Per due giorni il timore maggiore era la sempre più concreta possibilità di uno sgombero coatto. Così non è stato, forse possiamo anche dire per fortuna. L’arrivo della brutta stagione, il freddo e la pioggia hanno agito molto più efficientemente di quanto avrebbe potuto fare la questura: già due giorni dopo la stazione era disabitata. Mercoledì pomeriggio la polizia e Aprica già passavano con sacchi neri e guanti a “ripulire la stazione”. Esultano le destre che non perdono mai un’occasione per poter far campagna elettorale sulle disgrazie: “finalmente scomparso il degrado”. Oggi al parco rimangono solo le sagome delle tende impresse nei fili d’erba.

Sarebbe stupido pensare che il problema sia risolto. Anzi è stupido. Estremamente preoccupanti, infatti, le dichiarazioni del Viceprefetto, che lo scorso 19 Luglio, chiamato ad esprimersi durante la seduta aperta del Consiglio Comunale sul tema a nome del governo, più volte d ha tenuto a precisare, con un occhiolino agli attentissimi consiglieri di destra presenti in aula, come il fenomeno abbia una natura passeggera. “Parliamo di un evento sporadico, assolutamente imprevedibile e circoscritto, straordinario” queste le dichiarazioni.

In questi mesi di grandi promesse e dichiarazioni probabilmente le autorità locali non si sono poste la domanda più importante: “perché?”. Perché Como? Perché adesso? Perché non prima? Una domanda che può sembrare banale, ma forse non lo è così tanto la risposta. Prendiamo per assodato che l’evoluzione della situazione geopolitica che negli ultimi anni ha riguardato e riguarda i nostri fratelli transmediterranei ha portato il fenomeno migratorio non soltanto ad essere elemento predominante del dibattito pubblico nazionale, ma elemento strutturale dell’agire politico italiano ed europeo. Gli esempi sono chiari, in questi ultimi anni ci siamo trovati a dover rimettere in discussione (purtroppo in negativo) politiche europee sull’immigrazione già di per se scellerate che da anni erano consolidate nell’amministrazione internazionale, sempre più il dibattito politico a qualunque livello si incentra sulla “gestione” del fenomeno, lo stesso titanico governo di Angela Merkel in Germania proprio in queste settimane traballa ed è attaccato da quei movimenti di estrema destra nazionali ed europei che fanno della xenofobia il loro stendardo di battaglia. La chiusura delle due frontiere settentrionali italiane (Ventimiglia e il Brennero), d’altra parte, non poteva che essere un fattore ulteriormente destabilizzante. Parlando anche molto chiaramente, Como è ed è sempre stata dalla caduta dell’Impero Romano, una città di frontiera e anche negli ultimi anni è sempre stata città di passaggio per il flusso dei popoli in transito. La chiusura forzata delle uniche altre due vie di sbocco dall’Italia verso il Nord Europa, non poteva che sottintendere l’apertura e il rafforzamento di nuove e vecchie rotte. Così anche la Svizzera a Luglio ha deciso di seguire l’esempio dei suoi vicini transalpini e chiudere le frontiere. Qua entra in gioco Como e questo è il motivo per cui è necessario che il fenomeno che ha riguardato la nostra città negli ultimi mesi sia considerato un fenomeno strutturale e non passeggero: è sempre stato sotto i nostri occhi, ma fino a quel 13 Luglio, semplicemente nessuno l’aveva ancora visto, il passaggio c’è sempre stato, ma oggi le frontiere si sono chiuse.

E i dati ce lo confermano: solo questa settimana, la prima settimana di apertura del campo, altri 100 migranti sono stati deportati verso Taranto, si parla di oltre 200 migranti respinti ogni giorno dalla polizia di frontiera Svizzera. Già il terzo giorno di apertura del CAT governativo la struttura era satura, dei 300 posti disponibili 305 erano occupati. Giovedì in tarda serata la riunione di Como Senza Frontiere che si stava tenendo presso l’oratorio di Rebbio è interrotta dalla comunicazione che 45 migranti sono stati respinti dal CAT per mancanza di spazio.

Per di più, proprio nella settimana in cui la trionfante “soluzione” (così definita dalla prefettura e dall’assessorato alle politiche sociali comunale) governativa entra in azione, immediatamente emergono le prime contraddizioni, parliamo del dramma dei minori non accompagnati. Loro, infatti, non essendo legalmente liberi di poter scegliere autonomamente del proprio destino, non potranno essere ospitati all’interno del campo governativo. Ma non solo, ad oggi non esiste una struttura predisposta all’accoglienza di questa fascia. Interrogato specificatamente in consiglio comunale, il Viceprefetto in merito ha risposto pubblicamente che ancora per i minori non “si è trovata una soluzione istituzionale”. In poche parole in città arrivano e continueranno ad arrivare ogni giorno ragazzi e ragazzini, da soli, che saranno separati dal gruppo con cui hanno condiviso il viaggio fino ad adesso, in quanto “gli amici non sono parenti”, e ci si disinteressa completamente del loro destino. I servizi sono completamente all’interno del campo, non avranno un tetto sopra la testa, cibo o servizi igienici. Unica realtà di accoglienza civile che ad oggi continua la sua opera resta la parrocchia di Rebbio, solo Don Giusto accoglie tutte le sere chiunque abbia bisogno di un tetto. Servizio per altro largamente sfruttato dalle Istituzioni, già da prima dell’inizio dell’emergenza, infatti, l’accoglienza di minori non accompagnati era delegata completamente alla parrocchia. Così accade che, nel cuore della notte, una volante della polizia porti in oratorio due, tre, quattro ragazzini, scaricandoli lì, affidandoli alla comunità di Rebbio. È evidente che un tale servizio faccia estremamente comodo, ma evidentemente ciò solo quando è informale: richieste e progetti per “normalizzare” il processo di fatti sono sempre state respinte al mittente e con loro anche il sostegno economico e di risorse che sarebbe necessario per poterlo portare avanti al meglio. Più volte è stato ribadito che nessuna forma di accoglienza che non fosse il campo sarebbe stata accettata a livello istituzionale, ma quando serve è comodo che ci sia qualcuno che lo faccia.

È evidente, quindi, quanto sia ingenuo e sciocco minimizzare il fenomeno, etichettandolo come “straordinario e passeggero”. Le istituzioni devono prendere coscienza della reale situazione e capire che essa si protrarrà fin tanto che le frontiere rimarranno chiuse. Tutte le famose “soluzioni istituzionali” messe in campo fino ad oggi altro non sono se non tappa buchi, progetti strutturati sul breve o brevissimo periodo.

Nel frattempo il parco della stazione continua ad essere presidiato da polizia e carabinieri notte e giorno, e anche questa sera nessuno accoglierà i nuovi viaggiatori in arrivo, molti di loro saranno bambini.

L’emergenza continua, solo probabilmente non la vedremo più in televisione. L’emergenza continuerà fino a quando gli elementi strutturali che continuano a causare questa crisi, le politiche europee sull’immigrazione, smetteranno di esistere. L’emergenza continuerà fino a quando non saranno aperte le frontiere.

Aprire i confini, ora.

Unione degli Studenti Como

[foto di Ecoinformazioni]