Oggi in piazza eravamo in 20.000 per dire no al Decreto Sicurezza e per dire no alla retorica razzista.
Le strade erano piene di studenti e studentesse provenienti da tutta la regione pronti a rivendicare una società diversa e nuova!
Solo attraverso il cambiamento della scuola e dei luoghi della formazione cambieremo la società!
Andiamo controcorrente: a partire dalle scuole per una società che non lasci fuori nessuno
Come studenti e studentesse, crediamo sia fondamentale, impegnarci a contrastare con qualsiasi mezzo a nostra disposizione il moltiplicarsi di diseguaglianze e ingiustizie nel nostro Paese.
Non è un caso che proprio la formazione sia posta sotto attacco dal DL Salvini e non solo. Il nodo dell’accesso a scuole e università è centrale in qualsiasi discussione sul fenomeno migratorio, e costituisce ad oggi un problema serio nel nostro Paese.
La scuola può essere, infatti, il luogo in cui le diseguaglianze si combattono o quello in cui si amplificano, e la cronaca degli ultimi mesi ci fornisce due esempi emblematici: da un lato Lodi, dall’altro Riace.
Lodi, Lombardia, settembre 2018: decine di bambini figli di migranti vengono esclusi dal servizio di mensa e trasporto della scuola a causa di un regolamento che impediva nella sostanza l’accesso a chi fosse risultato sprovvisto di alcuni documenti, irreperibili o inesistenti in tanti dei paesi di provenienza delle famiglie. Scatta il caso, parte quella che i giornali hanno definito “gara di solidarietà”, con una raccolta fondi su scala nazionale, le scuse di alcuni esponenti del governo (come se bastassero le scuse…) e per un po’ si parla di questa storia, ritenuta quasi unanimemente allucinante. Ecco, Lodi è un esempio di come la scuola può essere il luogo in cui si impara l’esclusione. E come Lodi ci sono tanti altri casi, che magari non sono balzati agli onori della cronaca, di quotidiana discriminazione.
Riace, Calabria, ottobre 2018: con l’arresto del sindaco Mimmo Lucano, già sotto attacco da mesi da questo così come dal governo precedente, si torna a parlare del modello di accoglienza del paesino calabrese. Dove, ad esempio, si era riaperta una scuola ripopolandola con bambini e ragazzi di decine nazionalità, rendendola quello che ogni scuola dovrebbe essere: un luogo di incontro, di scambio, uno spazio in cui i confini si possano abbattere davvero, che reimmagini la società. Attraverso la formazione, a Riace si è costruito un modello di accoglienza diverso, nel quale la solidarietà ben lungi da essere una parola vuota era prassi quotidiana.
Non è un caso neanche che quel modello sia stato dichiarato illegale e smantellato: era la dimostrazione che si può vivere insieme in un modo diverso che faccia bene a tutti, popolazione locale e migrante, e al territorio, che ha ripreso a vivere reagendo allo spopolamento che interessa troppe aree interne del nostro Paese.
Lodi e Riace, due esperienze agli antipodi, geograficamente e politicamente, che ci raccontano però come la scuola e, più in generale, la conoscenza non possano essere messe in secondo piano nel discorso. Non possiamo parlare, oggi, di scuole e università inclusive, in particolar modo nei confronti delle soggettività migranti, e basta guardare i dati su abbandono e dispersione scolastica per rendercene conto, con tassi molto più alti tra gli studenti figli di immigrati. Non possiamo in alcun modo ritenere adeguato il sistema di accesso alla formazione, nel quale ai costi che tutti siamo costretti ad affrontare, si aggiunge per chi proviene da un altro Paese la battaglia per il riconoscimento dei titoli di studio o per l’accesso a un sistema di diritto allo studio escludente.
Non è un caso, infine, che spesso ai migranti in arrivo non venga riconosciuto il valore legale del titolo conseguito: attraverso questo meccanismo i migranti vengono inseriti in quei segmenti di mercato del lavoro con una bassa richiesta di competenze, che poi sono i segmenti nei quali si assiste maggiormente alla compressione dei salari, proprio quella su cui specula chi dice che sono i migranti la causa della povertà.
Per cambiare la rotta possiamo e dobbiamo partire da scuole e università, non solo garantendovi la possibilità di accesso attraverso l’abbattimento delle barriere economiche, ma anche mettendo in campo meccanismi mutualistici per far fronte insieme alle ingiustizie, attivando sportelli su diritto allo studio e riconoscimento titoli e lottando perché scuole e università li mettano in campo, promuovendo momenti di scambio interculturali, corsi di italiano ma anche di altre lingue.
Per cambiare la rotta è necessario anche un cambiamento culturale, a partire dalla profonda messa in discussione dell’etnocentrismo del quale è impregnata la didattica, con programmi che guardano solo a una parte del mondo, l’occidente, il nord, e non riescono a dare gli strumenti per leggere criticamente e comprendere il presente, per cogliere la complessità del fenomeno migratorio e smontare la retorica emergenziale in virtù della quale si continuano a comprimere libertà e diritti.
Vogliamo costruire dei luoghi della formazione liberi e aperti per davvero, per questo ci stiamo attivando e continueremo a farlo nei prossimi giorni per richiedere non solo nelle città ma anche in scuole e università che si scelga di non applicare il decreto Salvini, rimarcando la differenza fondamentale tra legalità e giustizia e affermando che la conoscenza o è libera e per tutti, e dunque circola in luoghi dichiaratamente antirazzisti, o non è.