In vista della manifestazione NOCPR contro i decreti Salvini (e oltre), pubblichiamo quest’editoriale sui migranti come testo base per un approccio critico.
Introduzione (Cause, Emergenzialità, Accoglienza)
Parlare di migrazioni e migranti in questi anni ha prodotto mostri, fobie, distorsioni da parte dell’opinione pubblica e di ogni compagine partitica o di governo.
Come studenti e studentesse che vivono e studiano in Lombardia non possiamo restare inermi di fronte a questi fenomeni, ma soprattutto non possiamo affrontare superficialmente la questione o relegarne la comprensione a un futuro non ben definito.
Per questo sentiamo la necessità di mettere a disposizione questo testo come primo approccio critico. Vogliamo infatti rendere accessibili queste analisi a tutte e tutti non solo per discuterne all’esterno e all’interno delle scuole, ma per renderle parte integrante della didattica.
Quando si parla di migrazioni è in primis fondamentale comprenderle nel loro insieme. Il nostro approccio infatti non si può limitare – nonostante ne riconosciamo l’importanza – alla solidarietà emergenziale o all’assistenzialismo umanitario di contingenza.
Il fenomeno migratorio infatti non può essere considerato unicamente come un fenomeno emergenziale ma al contrario è necessario riconoscerlo come fenomeno strutturale sempre esistito nella storia umana a differenza dei confini politici e giuridici.
In sintesi: la solidarietà non dev’essere strettamente legata al fornire aiuti solo in caso di estrema necessità. Se vogliamo infatti costruire una società solidale, senza forzature o costrizioni, dobbiamo trasformarla in senso mutualistico, permettendo quindi un naturale supporto reciproco per e da tutti e tutte.
Spesso le destre utilizzano in modo dispregiativo il termine “assistenzialismo” per attaccare genericamente il sistema solidale. Per noi invece l’assistenzialismo umanitario è importante ma bisogna anche saperlo superare e criticare nel momento in cui significa solo fornire aiuti “dall’alto verso il basso” attraverso contentini materiali da parte di chi è privilegiato, o nel momento in cui viene applicato attraverso il cosiddetto “egoismo del volontario”, ovvero pulirsi la coscienza senza realmente condividere e comprendere l’altro/a. L’assistenza dev’essere concretizzata attraverso il mutualismo, in un confronto reciproco con la persona mosso da un sincero desiderio di cambiare la società.
I migranti, prima di essere tali, sono soggetti a cui molto spesso viene negato, da parte di chi sfrutta e devasta i loro territori, il diritto di autodeterminazione, ovvero il diritto a diritto a partire, muoversi, restare.
Dietro i flussi verso l’Europa, e aldilà delle narrazioni tossiche delle destre sovraniste, si nascondono le vere cause delle migrazioni in cui i governi europei sono profondamente coinvolti.
Dobbiamo ribaltare la retorica dei paesi “ricchi” che subiscono senza responsabilità la migrazione dai paesi “poveri”. Il neocolonialismo europeo infatti è un attore importante all’interno dello sfruttamento ambientale ed economico dell’Africa. I paesi africani, ricchissimi di materie prime e risorse, vengono controllati tutt’oggi attraverso élite africane al potere, manodopera a basso costo e imposizioni di mercato o monetarie.
Dal controllo monetario sul franco CFA da parte del governo francese su 14 ex-colonie africane, alle compromettenti influenze militari ed economiche, i nostri governi devono cambiare, oltre che le leggi migratorie, i legami impositivi con questi paesi.
Abbiamo bisogno di un modello alternativo a tutte le compagini partitiche e di governo, riconoscendo come Minniti prima, il governo Conte poi – con gli opprimenti decreti Salvini – e il Conte bis oggi siano sostanzialmente in continuità per quanto riguarda le politiche migratorie.
Non possiamo dimenticare il PD che con Minniti ha introdotto i CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione, poi divenuti CPR negli anni), lo stesso che ha stretto accordi con il governo libico legittimando quelle disumane prigioni che producono torture e vittime, lo stesso che ha spianato la strada a Salvini.
L’Italia poi – secondo uno studio dell’Istituto Cattaneo – è il paese con la più forte distorsione della realtà per quanto riguarda l’immigrazione: gli immigrati extraeuropei rappresentano il 7% della popolazione totale, ma per la nostra opinione pubblica sono il 25%, ovvero uno su quattro (con una differenza di ben 17,4 punti percentuali). Nel nostro paese Il 47% degli italiani crede che ci siano più clandestini che migranti regolari, mentre gli irregolari rappresentano circa il 10% del totale dei migranti.
La realtà è un’altra non solo per le percentuali. Una volta sbarcato, il migrante è spesso un soggetto debole, privato di diritti, in quanto legato per vincoli legislativi e politici all’impossibilità di integrazione e interazione con la società. Fornirgli un documento come il permesso di soggiorno significa toglierlo dalle mani insanguinate della mafia e del capolarato. Non possiamo far morire essere umani nei campi, non possiamo lasciarli in mano alla criminalità, ma nemmeno lasciare che soffrano sulla loro pelle l’esperienza del lavoro gratuito indotto spacciato per volontariato sociale. Esempi in questo ambito sono i numerosi casi cittadini lombardi in cui al migrante viene chiesto di partecipare a squadre antidegrado di pulizia dei centri urbani, senza pensare ad un reale piano di ingresso e integrazione sociale e lavorativa nella città.
Nella nostra era di Capitalocene, in cui la natura non è solo dominata e sfruttata dall’uomo (Antropocene) ma sopratutto dal capitale, i migranti non possono diventare strumento per creare precariato e securitarismo! Senza documenti e integrazione diventeranno solo vittime del sistema – già ampiamente collaudato – che svantaggia gli sfruttati.
Le destre si rifugiano nelle politiche securitarie e poliziesche, puntando sulla retorica dell’invasione, cieche di fronte all’umano.
Andiamo oltre l’anti-salvinismo, che come l’anti-berlusconismo non ha mai visto buoni frutti, andiamo oltre le reazioni indignate e sterili dell’antirazzismo all’acqua di rose, andiamo oltre il meloniano “aiutiamoli a casa loro” che ignora il fatto che per aiutarli davvero, comprendendo i contesti socio-culturali in cui vivono, è la nostra impronta neocolonialista, economica, e militare a doversi per prima fare da parte.
Scendiamo dal nostro piedistallo europeo che esporta (o peggio, impone) quello che per noi sembra progresso, ma che per alcuni popoli africani è devastazione e sofferenza.
Costruiamo non solo approdi sicuri, oltre i confini, ma soprattutto città che siano porti sicuri. Il migrante non può subire l’attenzione mediatica della traversata e poi scomparire nel nulla, o peggio essere aggredito da retoriche xenofobe. Deve essere libero di integrarsi, avere gli stessi diritti socio-economici del resto della cittadinanza, e poter autodeterminarsi scegliendo se restare, partire o tornare.
Autoderminazione dei popoli
(diritto a partire, muoversi, restare)
“ Le specie umane migrano da almeno due milioni di anni: lo hanno fatto prima in Africa, poi ovunque e il risultato è che il quadro delle popolazioni umane si è arricchito: fughe, ondate, convivenze, selezione naturale, sovrapposizione tra flussi successivi, forse conflitti tra diverse specie umane, fino a Homo Sapiens. “ (da Libertà di migrare: perché ci spostiamo da sempre ed è bene così di Calzolaio e Pievani)
Ora più che mai, consapevoli della ricchezza umana dell’incontro tra diversità, dobbiamo far sì che ogni individuo abbia la possibilità di vedere garantita la propria libertà di migrare. Soprattutto nel momento in cui i cambiamenti climatici, oltre che le emergenze politiche, sociali ed economiche, provocano flussi forzati.
Questo chiaramente deve tutelare il diritto di restare nel proprio paese. La libertà di partire infatti non dovrebbe negare la libertà di restare o di ritornare indietro! I confini all’interno dei quali vengono incatenati i migranti per mano del sistema neoliberista, dei sovranismi xenofobi o dei razzisti debiologizzati (ovvero chi discrimina per cultura e non per razza attraverso retoriche quasi normalizzate dall’opinione pubblica, ma non per questo di natura meno ignobile) non possono avere senso di esistere nella nostra visione di futuro.
La chiusura – mediatica e non – dei porti di sbarco, unita alla criminalizzazione della solidarietà, comporta un costo di vite umane per noi insostenibile.
Andare oltre i confini, abbattendoli, diventa necessario per formare territori attraversabili e partecipabili da tutte e tutti, dove nessuno è illegale e l’unica marginalizzazione è quella nei confronti del razzismo e della speculazione sulla dignità degli altri, sui corpi e sulle nostre vite.
Reclamiamo con forza il diritto al futuro. Che non è il “nostro” futuro, ma il futuro. I popoli saranno liberi dalle catene del confine, che lacera il nostro vario mondo, o non saranno. I popoli si autodetermineranno, o non saranno.
Migranti ambientali e climatici
“Le guerre del futuro si combatteranno per l’acqua”. E se il futuro fosse già qui? Da oggi al 2050, secondo l’IPCC, saranno 200 milioni le persone costrette a scappare dai loro luoghi di origine. Per scappare da guerre nate per il controllo delle risorse, da carestie per lo sfruttamento selvaggio dei territori, milioni di esseri umani saranno costretti a muoversi a causa del surriscaldamento globale, dell’inazione dei governi, e della capitalocene.
Già oggi chi fugge dal proprio paese è, di fatto, migrante climatico e ambientale, in quanto vive sulla sua pelle lo sfruttamento territoriale capitalista.
Dal land grabbing perpetrato sul suolo africano da parte delle grandi multinazionali, fino agli sversamenti di greggio da parte dell’ENI dove si estrae senza criterio, interi popoli si stanno spostando per la distruzione dell’ambiente in cui vivono, dettata da dinamiche di potere e dalla necessità di controllare le materie prime.
Il lago Chad in 4 anni ha diminuito la sua grandezza del 90%, e la desertificazione e sterilizzazione dei terreni interessano il 24% delle terre produttive, ma la narrazione dominante ha sempre preferito raccontare altre cose. Conviene molto di più dare la colpa a chi migra al posto di chi vende, ancora con le mani insanguinate, ai consumatori in Occidente.
Mentre nelle piccole cittadine di provincia si parla degli insulti razzisti ai ragazzi di colore, in altre terre si consumano le peggiori distruzioni ambientali della crisi in cui viviamo.
Per questo per noi oggi l’anti-razzismo, per quanto fondamentale, non basta.
Giustizia climatica dev’essere anche giustizia sociale. Ci dobbiamo schierare dalla parte dei popoli sfruttati che ogni giorno si vedono avvelenare ed espropriare le terre.
L’emergenza climatica, che è anche ambientale ed ecologica, non deve solo essere attraversata a scuola e nella didattica. Dichiararla non è un atto simbolico, ma si deve tradurre in pratiche concrete e nel formare una reale coscienza critica degli studenti e delle studentesse per interrogarsi sulle vere motivazioni alla base delle migrazioni.
Non possiamo più permettere, inoltre, che il MIUR continui le sue operazioni di greenwashing, e chiediamo quindi che sospenda immediatamente ogni accordo con le multinazionali e con le aziende inquinanti e ogni percorso di ASL intrapreso con esse. Le stesse che devastano i territori africani e contribuiscono agli spostamenti forzati dei migranti climatici e ambientali.
Vogliamo una scuola inclusiva in grado di includere gli studenti e le studentesse provenienti da altri paesi, creando un sano confronto che porti a distruggere questa visione parziale del fenomeno, che porta alcuni a dire “scappano dalla povertà e dalle guerre perché li ci sono sempre state”. Vogliamo quindi una scuola capace di porre interrogativi più ampi su questo mondo complesso, che ci faccia dibattere sul perché esistano povertà e guerre in quei paesi e chi siano i veri responsabili.
Cambiare la scuola però non basta.
Entro il 2030 60 milioni di profughi climatici si sposteranno, a causa della desertificazione dei terreni, dall’Africa Sub-Sahariana al Nord Africa e all’Europa. La politica deve avere il coraggio di sfidare le lobbies e gli interessi dei grandi inquinatori. Cambiare le politiche sulle migrazioni è indispensabile, innalzare muri non è la soluzione, fermare il cambiamento climatico è necessario.
Migranti nei luoghi della formazione
Vogliamo un’accoglienza che nelle scuole possa avere il suo fulcro.
Troppo spesso gli studenti e le studentesse migranti non riescono ad integrarsi dentro le nostre classi e vengono segregati, discriminati, bocciati o costretti a interrompere gli studi. Le nostre scuole devono essere luoghi dove si possa imparare dalle reciproche diversità.
Troppo spesso mancano docenti di lingua in grado di poter facilitare gli studenti migranti e immigrati a comprendere le lezioni ed essere compresi dagli altri.
Troppo spesso la nostra scuola non è in grado di andare oltre la mera ‘accettazione’. La comprensione dell’altro e del diverso non deve tradursi in compassione caritatevole, ma deve realmente capire i disagi e le necessità di persone che cercano di inserirsi in un contesto sociale profondamente nuovo.
Nelle nostre scuole non ci può essere spazio per la marginalizzazione o l’isolamento: non dobbiamo solo comprendere e risolvere le difficoltà linguistiche, sociali e relazionali, dobbiamo anche combattere contro i casi di bullismo o violenze.
La didattica deve essere aperta dunque alle esigenze di tutti e tutte, riuscendo a trasformare in valore le differenze. Questo non è buonismo ma la volontà di creare un sistema scolastico che non divida e sappia unire, e che porti ogni studente a esprimere sé stesso al meglio.
In Italia, a ostacolare tutto questo, non c’è solo l’inefficienza di un sistema vecchio e definanziato ma anche la legge stessa, che rende complesso allo studente migrante poter portare a termine il proprio corso di studi.
Dal 2019 con l’approvazione del decreto Salvini un migrante arrivato ai 18 anni o certifica di essersi trovato un lavoro oppure è costretto a lasciare lo stato ospitante. Questo crea una grossa disparità rispetto alla scelta del corso di studi, la possibilità di doverlo abbandonare forzatamente, vista la minaccia dell’espulsione, e di conseguenza si viene a creare un “esercito di riserva” formato da chi abbandona gli studi per dover occupare un impiego a bassa qualificazione e ad alta precarietà.
Questo modello non lo vogliamo per noi e non lo vogliamo per nessuno.
Da ultimo non ci possiamo dimenticare di tutti coloro che essendo nostri compagni di classe da molti anni non vengono riconosciuti cittadini italiani. Questo è un oltraggio per persone che hanno dato forma alla propria vita all’interno del nostro paese, anche perché i costi delle sole procedure per fare richiesta di cittadinanza italiana, qualora ve ne siano i requisiti, raggiungono il costo di circa 500 euro a persona. Costi che per una famiglia che già ha difficoltà socio-economiche di integrazione non sono certo sostenibili.
Chi ha costruito la sua vita in Italia o chi la vorrebbe costruire deve avere i diritti di qualunque suo compagno o compagna di banco.