Il 2020 è un anno a dir poco movimentato: dalle continue esplosioni di conflitti sociali ed economici in tutto il mondo, fino alle tensioni internazionali e al diffondersi di una pandemia che che ha smascherato la mancanza di volontà dei governi di affrontare strutturalmente le criticità del sistema in cui viviamo. In tutto ciò, si intensificano gli effetti del cambiamento climatico sul pianeta, causato dall’inquinamento sfrenato e dalla devastazione ambientale di matrice umana: i fuochi in California e i fenomeni metereologici estremi che hanno danneggiato in questi giorni il Nord Italia sono solo degli assaggi di quello che ci aspetta.
E mentre la catastrofe climatica ed ambientale comincia a manifestarsi sempre più nella nostra quotidianità, Stati ed imprese ancora arrancano nel ragionare misure per affrontarla, tutto in nome del profitto.
Continuiamo infatti a leggere di nuovi fondi – mai discussi dalla popolazione – per progetti inutili o inquinanti, che sfruttano ambiente e persone. Dov’è la radicale svolta ecologica che il movimento per il clima chiede da tempo?
Con il Recovery Fund europeo stanno arrivando 209 miliardi di euro: non possiamo accettare sprechi e greenwashing. Vogliamo decidere del nostro futuro. Vogliamo un’effettiva transizione ecologica del Paese, che ci allontani da modelli di produzione e consumo che ci sta portando al collasso. Vogliamo un imponente ed ambizioso piano di investimenti pubblici per una mobilità sostenibile, efficiente e alla portata di tutti, un’istruzione gratuita e di qualità, che rivitalizzi il ruolo della conoscenza come strumento di autodeterminazione e liberazione; un lavoro che tuteli i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, non che sfrutti e precarizzi.
La nostra Regione, “l’eccellente Lombardia”, è chiaro emblema di questo perverso sistema. Nel pieno dell’emergenza pandemica, di cui il nostro territorio è stato, purtroppo, principale protagonista, ha presentato il suo scintillante “Piano Marshall” da 3 miliardi di euro per la “ripresa economica”. Il 10% di questi, più di 350 milioni di euro, sono stati subito destinati all’inutile, dannosa e costosa Pedemontana. L’occasione per il cambio di rotta sulle politiche per clima e ambiente si è trasformata nell’occasione per pochi privati di lucrare sui fondi pubblici del post-lockdown.
L’autostrada Bergamo-Treviglio, la Cremona-Mantova, la TAV Brescia-Verona sono ulteriori esempi di pericolosi buchi neri per i soldi pubblici che minacciano di consumare voracemente altro suolo di una regione già strangolata dal cemento e con i più alti livelli d’inquinamento d’Italia e d’Europa. Centinaia di milioni di euro (480 mln solo in investimenti su Pedemontana e bergamo-Treviglio) vengono investiti in progetti dannosi, a partire dalle immense autostrade che incentivano il trasporto privato su gomma, mentre il servizio pubblico versa in condizioni disastrose.
Ma non ci sono solo grandi opere, il nostro territorio è disseminato da centinaia di attività produttive molto nocive per la salute delle persone e dell’ecosistema, come SILEA S.p.A., interamente a capitale pubblico, che gestisce il pericoloso inceneritore di Valmadrera, in provincia di Lecco.
E’ indispensabile, quindi, aprire una discussione dal basso in ogni città e provincia lombarda, affinché si costruisca un piano radicale di alternativa. Vogliamo un patto per il clima regionale, un “New Deal” lombardo che parli di trasporti gratuiti, sostenibili e funzionanti, di un nuovo sistema di gestione di rifiuti secondo l’economia circolare, lo stop alla cementificazione selvaggia – con un piano di riqualificazione dell’edilizia pubblica, sociale e scolastica – per il diritto alla casa, allo studio, ad una nuova socialità. Va finanziata la transizione energetica attraverso incentivi per le rinnovabili, secondo giustizia climatica, e l’investimento massiccio su istruzione e ricerca. Facciamo appello a tutti i comitati, associazioni, realtà organizzate – e non – perché ci si unisca in un nuovo percorso di sfida alla politica che persegua la tutela della popolazione e non del profitto di pochi.
Domani, 9 ottobre, saremo in piazza nello sciopero per il clima di Fridays For Future. Perché vogliamo gridare “Recovery for the (Plan)et”, perché non vogliamo un ritorno alla normalità del capitalismo che sfrutta ed opprime. Perché pretendiamo un mondo diverso, in cui il benessere umano sia quello del resto della natura, in cui ognuno possa essere e vivere nella totale libertà. Perché va costruito un “New Deal” regionale, un nuovo patto per il clima, perché la politica non pensa al futuro di tutte e tutti.
Perché il Recovery Fund deve essere utilizzato per guarire il nostro pianeta già da tempo malato, perché i soldi europei non devono essere usati per la ripresa economica dello stesso sistema che c’era prima del lockdown.